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Disabilità, quando la didattica a distanza non è inclusiva: intervista a Stefania Bargagna

L‘IRC di Calambrone (Pisa) è un Istituto di Riabilitazione che eroga prestazioni riabilitative intensive ed è accreditato da Regione Toscana, è un punto di vista importante per comprendere cosa è avvenuto nei mesi di emergenza pandemica. Abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti con il Direttore, la dr.ssa Stefania Bargagna. Ringraziamo per l’aiuto Giulia Bini, giovane psicologa volontaria e collaboratrice all’IRC.  

Parliamo di un aspetto delicato del lockdown, la “reinvenzione” della scuola a distanza per tutti i bambini con gravi disabilità. E lo facciamo con la dr.ssa Stefania Bargagna, responsabile dell’IRC della Fondazione Stella Maris di Calambrone, servizio che svolge attività riabilitative per minori Icon disturbi del neuro-sviluppo disturbo dello spettro autistico e disabilità intellettive complesse. Il suo è un osservatorio privilegiato per comprendere quali difficoltà possono avere incontrato i suoi pazienti durante l’emergenza pandemica. Il dialogo costante del suo team con i genitori è un punto essenziale. 

Con il lockdown abbiamo visto irrompere nelle vite di tante famiglie la didattica a distanza (DAD), che ne pensa dottoressa Bargagna?

Questa nuova modalità di didattica a distanza in molte situazioni ha messo in difficoltà gli alunni con disabilità o i BES, per i quali molto spesso il supporto fisico, diretto di un adulto competente, che faciliti l’apprendimento, è indispensabile. E con loro anche le insegnanti di sostegno hanno trovato notevoli complicazioni. Abbiamo voluto parlare di questo nuovo modo di fare scuola con i genitori e anche con alcuni insegnanti di sostegno, perché volevamo conoscere la loro esperienza diretta. 

Che cosa vi hanno detto?

Diciamo che tra i genitori che conosciamo è sufficiente il grado di soddisfazione per la DAD. In molti casi sostengono vi sia stata positiva collaborazione tra scuola e famiglia, consentendo di affrontare specifiche situazioni. Una buona parte dei bambini che già usufruivano del sostegno hanno avuto un coinvolgimento nelle attività di didattica a distanza e alcuni sono stati seguiti direttamente dalle loro docenti. Quello che ci sorprende è la difformità della video-didattica: c’è chi l’ha fatta tutti i giorni, chi poche ore alla settimana. Per i bimbi piccini della scuola dell’infanzia le attività erano meno strutturate e con tempistiche minori. Pensiamo che anche il tipo di disabilità abbia avuto il suo peso. In alcuni casi, infatti, l’interazione con il video penso sia stata faticosa e non proficua per l’apprendimento. Per far fronte a queste difficoltà le insegnanti hanno adottato diverse strategie, come la riduzione delle ore o l’assegnazione di attività da fare con i genitori.

Fondamentale è stato li rapporto tra gli insegnanti e le famiglie, è vero?

Sì, la collaborazione tra le insegnanti e le famiglie è stata necessaria, perché la presenza fisica di un adulto spesso è indispensabile. In ogni caso questa modalità di didattica  ha gravato molto sui genitori che hanno dovuto seguire pazientemente uno o più figli nelle attività, e per questo, molti di loro hanno espresso di aver fatto molta fatica.

Anche le insegnanti, in particolare quelle di sostegno, si sono trovate a dover fare una “riorganizzazione e rimodulazione della didattica nel più breve tempo possibile”. Soprattutto all’inizio, al primo impatto molte si sono sentite disorientate, spaventate e impreparate. Ma allo stesso tempo c’è stato chi è riuscita a vivere questa novità come un’opportunità.

Quale sono state secondo voi le maggiori difficoltà?

Ci siamo chieste come sia stato possibile facilitare l’inclusione con la classe virtuale. 

Secondo molte insegnanti un importante difetto della didattica a distanza è proprio il fatto che accentua le differenze individuali, e quindi è scarsamente inclusiva. Questo sia nei confronti dei bambini con difficolta, con il sostegno o BES, per i quali può risultare complicato, e in certi casi impossibile, interagire attraverso uno schermo. 

Ma l’inclusione più venir meno anche per bambini che provengono da contesti socio-economici diversi. Non per tutti è stato facile reperire la strumentazione, o la connessione necessaria per seguire la classe. Inoltre, è necessario un buon livello di competenza digitale, disponibilità di tempo, dedizione e capacità da parte dei genitori e delle famiglie. Questo non sempre è stato possibile e la partecipazione di molti bambini ne ha risentito.  

Che conclusioni può trarre da quest’esperienza?

La maggior parte delle insegnanti di sostegno ascoltate pensano che la DAD non sia possibile nel lungo periodo. Soprattutto non la ritengono attuabile per l’apprendimento di bambini con disabilità. Nella DAD sostengono che mancherà sempre l’ aspetto più importante:  ovvero la relazione diretta ed empatica con il bambino”. Nella teledidattica viene a mancare il “contatto fisico” e “l’aggancio affettivo” questo aspetto è particolarmente delicato per il docente di sostegno il quale “prima di essere facilitatore di conoscenze, dovrebbe essere catalizzatore di comunicazione”.

Sicuramente questa esperienza ha messo a dura prova insegnanti, genitori e bambini, ma nonostante le difficoltà, grazie al loro impegno e collaborazione hanno saputo fronteggiare positivamente questa emergenza, garantendo per quanto possibile una continuità educativa, introducendo risorse inaspettate. Per quanto ci siano state esperienze apprezzabili e soddisfacenti, né genitori né insegnanti del nostro gruppo ritengono che gli obbiettivi del piano didattico possano essere raggiunti con la sola modalità a distanza.

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